Intervista a Abbati Roberto

ORMT-07PR-Af

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Dalla cooperativa ai secondi teatri

Abbati sintetizza e ribadisce: dal ’68 in poi il sentirsi inadeguati alla realtà spinge il Collettivo a esprimersi attraverso il teatro con l’intenzione di cambiare la realtà stessa. Quando la cooperativa come configurazione aziendale e organizzativa non li persuade più, adottano la forma dei cosiddetti “secondi teatri”, dando vita al Teatro Due.
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Da ex Enal a Teatro Due

Il Teatro Due nasce tra il 1976 e 1978 circa. L’edificio, che aveva molti spazi con svariate destinazioni d’uso (sala di recitazione, palestra, sezione ARCI,…), viene progressivamente occupato dalla compagnia che vi investe tempo e denaro fino a che la loro presenza non diventa “necessaria alla città”.  In tre/quattro anni arriva il riconoscimento giuridico e si stipula una convenzione con il Comune di Parma (il rinnovo è previsto ogni nove anni). Il riconoscimento di teatro stabile privato arriverà successivamente.  Intervistatrice e intervistato si confrontano sulla possibilità di trovare i documenti che attestano questo primo riconoscimento giuridico.
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Da attori universitari a attori di una cooperativa

Gli attori del Collettivo provengono dal teatro universitario, che nel ’68 incontra le istanze politiche del movimento studentesco. Anche questo è rivoluzionario: fino alla fine degli anni Sessanta gli attori o provenivano dall’accademia o dalle filodrammatiche. Inoltre il teatro si faceva nelle grandi città (Roma, Milano, Torino, Genova). Il Collettivo capovolge questa tendenza, anche seguendo l’esempio di Fo.
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La nuova formula del Teatro Due, esito di politiche innovative

Quando la convenzione stipulata con il Comune non era più sostenibile il Teatro Due ha chiesto di essere riconosciuto come teatro stabile privato. Un ruolo cruciale nell’ottenimento di una legge ad hoc per il teatro – che per molto tempo ha dovuto avvalersi di finanziamenti ottenuti con decreti –   lo ha avuto Walter Le Moli. La realtà cambia perciò occorrono configurazioni diverse nei luoghi di produzione del teatro; il cambiare delle configurazioni influisce necessariamente anche sulle estetiche.
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La trilogia del decentramento:

Breve interruzione. Abbati conviene con l’intervistatrice: Il re è nudo, Il figlio di Pulcinella e La colpa è sempre del diavolo rappresentano la trilogia-simbolo del decentramento e della riscoperta del teatro d’autore e della regia non collettiva (sono tutti diretti da Jerković). Gli spettacoli avevano tutti e tre la stessa scenografia: un piano inclinato e una centina di teli.
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La scenografia mobile

La struttura scenografica concepita in modo da essere versatile e trasportabile in qualsiasi luogo: era “un teatro autonomo” “compiuto, solo mobile”. Questa soluzione risponde alla volontà di “teatralizzare” luoghi non teatrali.
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Il ritorno al repertorio d’autore

Ritornare al teatro d’autore – all’intervistato non piace la definizione di “popolare” ma la accetta – significa attingere al patrimonio della tradizione teatrale italiana. Le opere di Fo e De Filippo – all’epoca ancora vivi – hanno “consistenza visibile”; sia ne La colpa è sempre del diavolo si ne Il figlio di Pulcinella è evidente, seppur in modi diversi, l’allusione all’attualità. Abbati descrive una scena della commedia di Fo.
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Il teatro popolare di Fo e De Filippo

È lecito inserire Il re è nudo nella trilogia, ma Schwarz non è italiano. Gli altri due spettacoli rendono comprensibile il meccanismo comico-teatrale – e una digressione sul comico allungherebbe la durata dell’intervista – e costituiscono un “grande teatro popolare”. Non prediligono la cronaca a discapito del meccanismo teatrale: l’opera omnia di Fo e De Filippo è teatro popolare.
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Il re è nudo

Il re è nudo di Schwarz è una favola conosciuta, è già metafora. Il Collettivo interviene molto sul testo; l’idea iniziale era mettere in scena la Turandot di Brecht per cui avevano chiesto i diritti a Strehler – che non li ha mai concessi. L’opera di Schwarz permette di tematizzare il rapporto potere-sapere: dalla metafora alla realtà.
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L’importanza dell’ironia

 Ruolo cruciale dell’ironia: il teatro politico che prediligeva i contenuti in luogo della forma mancava di ironia. Sia i membri del Collettivo sia Jerković hanno “occhio dissacratore nei confronti del mondo”: Il re è nudo, Il figlio di Pulcinella e La colpa è sempre del diavolo sono congeniali a questo spirito.
00:23:56

Il ritorno di Jerković

Abbati accenna al periodo di rifiuto e negazione della regia. Jerković è necessario al Collettivo: fornisce agli attori gli strumenti formali per evitare la divisione tra teatralità e contenuto politico. Il regista croato era di sinistra e non imponeva la sua autorialità, anzi si metteva “a servizio dialettico” dei progetti proposti dalla compagnia. Ricordo della discussione tra attori e Jerković durante la preparazione di Gargantua e Pantagruel.
00:27:09

Il cordone ombelicale con Jerković e la parentesi del ’68.

Il ’68 “taglia il cordone ombelicale” tra CUT e Jerković: il suo legame con Parma e gli attori però non si interrompe, non si può parlare di una vera e propria rottura. Il regista soleva lavorare dalla Jugoslavia; partecipava ai FITU con i gruppi zagabresi e invitava il CUT/Collettivo al Festival jugoslavo.
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La valenza di Brecht per il CUT/Collettivo

L’intervistatrice collega la concezione teatrale del CUT/Collettivo alla lezione di Brecht: Abbati è d’accordo, ma crede che la compagnia la abbracci dapprima in modo inconsapevole e poi, progressivamente, la approfondisca. Lo sviluppo del percorso brechtiano avviene senza la totale conoscenza di Brecht: i suoi spettacoli erano conosciuti soprattutto grazie allo scambio tra TU, Einaudi pubblica Il breviario di estetica teatrale solo alla fine degli anni Sessanta, mentre il suo intero corpo teorico viene pubblicato dopo; Strehler aveva messo in scena L’opera da tre soldi e altri testi brechtiani.
00:33:15

Lo straniamento

Lo straniamento in Italia è possibile solo se formalizzato: il tentativo fallito di Strehler con Buazzelli. Lo straniamento del CUT/Compagnia Collettivo mira a non snaturare le origini del teatro italiano (soprattutto della Commedia dell’Arte) e non ha nulla a che vedere con quello brechtiano, che viene visto come uno schema. Impedire l’identificazione del pubblico nei personaggi, “mostrando il gioco” è la forma di straniamento del CUT/Compagnia Collettivo.
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Romanzo criminale e Il quinto stato

 

Romanzo criminale e Il quinto stato sono spettacoli di decentramento che, a differenza della trilogia che li precede, prendono ispirazione da romanzi. Il primo scelto sia perché un successo letterario di Pilhes sia perché tratta il tema delle multinazionali: la riduzione teatrale la curano l’intervistato e Gigi Dall’Aglio. Il quinto stato, invece, tratto dall’omonimo romanzo e da La vita eterna di Camon, è ridotto da Giancarlo Andreoli, ex membro CUT; è uno spettacolo che tocca la tradizione popolare, orale e aneddotica.
00:38:49

Urgenza di cambiamento

Il passaggio da testi drammatici concepiti per il teatro all’adattamento di romanzi è sintomatico di un cambiamento. In Romanzo criminale il contenuto politico era violento, non poteva essere restituito sotto forma di “metafora”, mentre Il quinto stato metteva in scena il mondo contadino e le sue contraddizioni attraverso tante “piccole favole”.
00:41:16

Romanzo criminale

Lo spettacolo ha come tema le multinazionali e critica la loro libertà sovranazionale (intesa come capacità di evadere le giurisdizioni nazionali). Nella trasposizione teatrale la mancanza di un meccanismo ironico è un limite. Abbati non ha né copione né fotografie dello spettacolo.
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Abbati anti-collezionista

L’intervistato si definisce vanitoso ma non abituato a conservare foto e documenti. Una tv francese e una casa di produzione cinematografica tedesca hanno realizzato due film raccogliendo i grandi eventi teatrali degli anni ’70 e ’80: la Compagnia del Collettivo appare in entrambi. Nella pellicola tedesca è stato inserito l’intero repertorio in lingua tedesca della compagnia, mentre in quella francese compare Uccellacci Uccellini.
00:44:52

Romanzo criminale

Ricalca molto il romanzo da cui è tratto, fatta eccezione per una scena di fantasia, scritta da Abbati; la scena venne molto apprezzata da Jerković che lodò l’intervistato paragonandolo a Hemingway.
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Il quinto stato

Entrambi i romanzi di Camon raccontano il mondo contadino, anche contemporaneo, dell’area veneta: presente e passato si confondono e le vessazioni autoritarie tornano, sotto diverse vesti, in ogni epoca. In questa trasposizione teatrale la dimensione dell’ironia ritorna.
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Interview Duration: 02:26:42
Registration Duration: File A 00:48:42 File B 00:48:41 File C 00:49:19
Format: mp3
Type: Audio
Language: Italiano
Subjects:
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Citation

Intervista a Abbati Roberto, di Becchetti Margherita, Parma, Fondazione Teatro Due, il 22/12/1999, Progetto “La memoria dei teatri universitari in Italia (PRIN 2015. Per-formare il sociale)”, Collezione Ormete (ORMT-07PR-Af), consultata in URL:< https://patrimoniorale.ormete.net/interview/intervista-a-abbati-roberto/ >, (data di accesso).

Relation:
Bibliography:
  • Becchetti M., Il teatro del conflitto. La Compagnia del Collettivo nella stagione dei movimenti. 1968-1976, Odradek, Roma 2003.
  • Allegri L., Tre Shakespeare della Compagnia del Collettivo, Liberoscambio, Firenze 1983.