00:00:00 Presentazione OR.ME.TE.; lettura liberatoria |
Attualmente è direttore dell’Istituto Internazionale per l’Opera e la Poesia di Verona, fondato dall’UNESCO nel 1995, mentre era sovrintendente dell’Ente Lirico Arena di Verona; insegnante di recitazione alla Scuola del Piccolo Teatro di Milano dalla fine degli anni ’90. Con il Piccolo ha sempre avuto rapporti. Paolo Grassi. Aveva anche ricevuto un invito da Strehler a entrarci nel ’49, ma ha preferito restare al Teatro dell’Università di Padova, unico teatro universitario italiano di allora in continua tournée all’estero, quasi quanto accadrà poi con il TST |
00:05:22 Le ragioni della venuta a Torino |
[Crivellaro] Non il primissimo direttore del TST, ma certamente quello che lo ha caratterizzato, che gli ha dato la notorietà sia in Italia che all’estero durante il decennio della sua direzione dal 1957 al 1968. Nella prospettiva del sessantennio: se c’è stato un padre del TST, questo è Gianfranco De Bosio. Un anno prima di assumere la direzione è giunto a Torino. Pubblico torinese diffidente, molto critico, non entusiasta del primo anno. Quando Nico Pepe – che ha avuto molti meriti per aver avviato il TST – gli propose di fare una regia a Torino, GdB propose Liolà di Pirandello nell’edizione in lingua italiana. In realtà poi il dialetto siciliano troverà nella sua storia una continuità con il Ruzante, con il dialetto pavano. Questo Liolà, anche per il merito di Leonardo Cortese, attore di cinema, bel ragazzo, molto adatto per il personaggio, fu un successo trionfale, è stato una sorpresa: tantissime repliche, quasi due mesi, la sala del Gobetti allora teneva ca trecento posti (trecentotrenta). Poi mise in scena La maschera e il volto di Chiarelli, testo del teatro borghese, mentre Liolà rientrava nel teatro popolare metteva in scena il mondo contadino. La scelta di Liolà era in continuità con l’esperienza del Teatro Università di Padova e poi all’incontro con Paolo Grassi e al Ruzante che il Piccolo Teatro volle rappresentare in varie edizioni. Dal Ruzante, al Liolà a Torino è un discorso abbastanza logico e conseguente. |
00:10:06 Gli inizi |
Nomina a direttore del TST con l’aiuto di Fulvio Fo, fratello di Dario Fo, che con Franca Rame vennero a Torino nel secondo anno della sua direzione, ulteriore successo, con Comica finale, legato a una serie di comiche della tradizione. La Rame era figlia d’arte, di una compagnia girovaga, si ritorna fino a Molière. La Rame era simpaticissima, ma aveva però un difetto: girava nuda per i camerini e il capomacchinista siciliano, Salvatore Fortuna, detto Turi, impazziva. Era una venere del teatro, purtroppo ci ha lasciato, invece Dario per fortuna è ancora in buona salute. |
00:12:51 Tournée in America Latina |
Si cominciò a guardare all’Europa e all’America. Il Ministero allora scelse il teatro di Torino per una tournée in Sudamerica, che portò il TST a un valore internazionale. La tournée aveva un titolo: Il personaggio popolare nel teatro italiano; c’era spazio per Ruzante; scelsero una commedia di Massimo Dursi, un eccellente critico teatrale del “Resto del Carlino” di Bologna: Bertoldo a corte, quindi ancora un personaggio popolare, insieme a Liolà e a Ruzante; e poi ancora altri testi tra cui Antonello capobrigante calabrese, una riduzione di Ghigo De Chiara – allora critico dell’“Avanti!” – [dal testo di Vincenzo Padula], sulle storie dei briganti di Calabria. Antonello anche lui è un personaggio popolare, come del resto Salvatore Giuliano, nel dopoguerra, quando iniziò il brigantaggio. La storia dei briganti è una storia molto complessa e tutt’altro che “brigantesca”: corrisponde anche a un modo popolare di impostare un discorso politico. In Argentina fummo accolti molto male: quando fummo invitati d’obbligo alla “Casa d’Italia” ci accolsero con Giovinezza… “Giovinezza, giovinezza / primavera di bellezza…”, cioè erano i fascisti che erano scappati in Argentina col peronismo e quindi avemmo scarso successo con loro perché criticarono molto il nostro repertorio, dissero che era un repertorio di stracci e che la bellezza d’Italia e della moda italiana non era rappresentata. Però fu un grandissimo successo questa tournée, anche in Argentina, perché la sinistra clandestina l’abbiamo conosciuta tutta: scenografi, registi ecc. quindi è stato un successo malgré les italiens Il passaggio a Montevideo è stato invece molto più piacevole perché l’Uruguay era già un paese più evoluto, non fascista. Poi in Brasile a São Paolo, Rio De Janeiro è stato il colmo del successo Ruzante, grande sorpresa, con Franco Parenti. Gruppo teatrale di sinistra che lavorava a Rio De Janeiro propose successivamente una traduzione del Ruzante anche in Brasile |
00:17:35 Tournée a Parigi, riscoperta di Ruzante; Torino-Ruzante-De Bosio |
Francesco Bernardelli, critico della “Stampa”, dalla parte dello Stabile Paolo Grassi, battaglia per passare allo Stabile, come quella di De Bosio Lucio Ridenti sul “Dramma” ci ha messo molto per accogliere il Teatro Stabile, preferiva le compagnie di giro, per una tradizione Grande tournée a Parigi con la Moscheta, ritraduzione di Ruzante in francese. Fu Alfred Mortier che tradusse in francese tutto Ruzante negli anni ’20, quando in Italia era sconosciuto; De Bosio all’epoca dei suoi studi a Parigi, aveva presentato degli atti unici di Ruzante in francese, prima di fare Ruzante in Italia. Jacques Copeau, al Vieux Colombier, mise in scena l’Anconitaine, che poi De Bosio fece a Torino A Torino Ruzante fu praticamente l’autore principale, cosa che suscitò polemiche, per non essere parte della cultura piemontese, ma critiche modeste, il pubblico partecipò in modo vivace alla scoperta dell’autore. A Ivrea, nel circolo Olivetti c’era Ludovico Zorzi, con cui De Bosio cominciò al Teatro Università di Padova a fare Ruzante. Einaudi pubblicherà tutto il Teatro di Ruzante in volume storico durante il periodo ruzantiano a Torino. Ruzante e Stabile di Torino strettamente connessi. De Bosio ebbe il merito di riscoprire Ruzante e sua conquista fu il proporne il linguaggio. |
00:21:40 Novità del linguaggio ruzantiano |
La lingua italiana è composita; i dialetti, o meglio, le “lingue popolari” sono costitutive del teatro italiano. A Torino per esempio De Bosio portò in scena ’l Cont Piolet , testo del ’600, che andò anche all’estero, al Festival di Nancy. Avventure della villeggiatura di Goldoni, che sono in lingua italiana, rispetto alle Baruffe chizzotte, per esempio, sono così magnifiche; la lingua veneta o addirittura chioggiotta è un’altra cosa; lo stesso vale per il Ruzante, il suo pavano non è popolare, è inventato da un intellettuale che riscrive e reinventa. Le Orazioni sono dei pezzi di letteratura. Cita l’incipit della Moscheta . Questo linguaggio è una meraviglia. Da Mosca, a Barcellona, la gente rimaneva esterrefatta per il suono, la forza sonora e sensuale e sessuale di questa lingua. |
00:26:00 Riduzione teatrale di Se questo è un uomo di Primo Levi (1966) |
Ringraziamenti a Piero Crivellaro per le 500 fotografie dello spettacolo per De Bosio indimenticabile Se questo è un uomo, nella riduzione teatrale di Primo Levi e di un giovane attore torinese . Colpì profondamente il pubblico. I libri di Levi che ricordano i campi di eliminazione nazisti sono un fondamento della storia internazionale. Il fatto che si riuscì a produrlo con 50 attori da tutta Europa, lega De Bosio profondamente allo Stabile di Torino. Ci fu l’alluvione, proprio a due giorni dall’andata in scena, il teatro di Prato (inizio novembre del ’66). La prima avvenne quindi a Torino, e fu una data storica. Le fotografie compensano a livello documentario l’assenza di una registrazione. Il finale con la donna che dice le parole di Primo Levi e viene uccisa dai mitra è un saluto tragico per questo spettacolo. Levi partecipò a tutte le prove e non disse a De Bosio mai una parola, non gli suggerì mai nulla. Probabilmente suscitava in lui un mare profondo di ricordi. Parlava anche con Marta Egri, la moglie di De Bosio, che fu per lo spettacolo preziosa assistente alla regia, ma sena mai esprimere alcunché sulla regia. |
00:31:15 Il terrorista |
[Crivellaro] Quanto è autobiografico nella storia della sua formazione il film Il terrorista? [De Bosio] È nato da una proposta di Tullio Kezich, di cui mise in scena al Piccolo di MilanoViva Bresci, era un suo vecchio amico di infanzia, avevano entrambi le madri triestine. Dopo aver visto La resistibile ascesa di Arturo Ui di Brecht, del 1961, altro spettacolo importante di Torino, con Franco Parenti, parodia hitleriana, Kezich gli suggerì di fare un film. Kezich era con Ermanno Olmi, che all’epoca dirigeva la società “22 Dicembre” in piazza VI Febbraio, di fronte alla vecchia Fiera, aveva troppi soldi, dalla Edison… Avevano tutti i soldi a disposizione per fare il film. Le distribuzioni, che non avevano messo soldi, non hanno accettato il film, hanno dovuto uscire con le distribuzioni regionali, motivo per cui non ebbe successo commerciale. Ma fu invece presentato al Festival di Venezia ed ebbe molti premi, ma soprattutto grandissimo successo in Francia (coprodotto da una società francese); piacque molto in Francia, amato da Sartre e da Simone De Beauvoir, anche in Algeria e in altri paesi francofoni. Tutti gli episodi raccontati nel film fanno parte della sua esperienza personale di partigiano combattente, ma preferì riunirli in un soggetto nell’unica città che poteva essere uguale a se stessa, Venezia, dove però c’erano stati molti episodi raccontati nel film, fra cui la fucilazione sulla Riva dei Sette Martiri dei partigiani veneziani; poi altre cose sono avvenute a Verona, Padova, il comandante che rappresenta magnificamente Gian Maria Volonté, era il leader del “terrorismo” partigiano a Padova, Otello Pighin, medaglia d’oro alla memoria [valor militare]. Tutto il soggetto fa parte dell’autobiografia di De Bosio, unito insieme nella città che nel 1963 poteva ancora assomigliare all’Italia della Resistenza, avendo cura di evitare le riprese di alcuni luoghi specifici, come piazza San Marco, la Venezia storica, è tutto girato nella Venezia “minore”. È divenuto un “classico” della Resistenza, ancora proiettato soprattutto in occasione del 25 aprile |
00:38:19 La formazione a Padova |
[Crivellaro] Gli anni della sua formazione a Verona, di studio a Padova e come si è dedicato al teatro prima di arrivare a Torino [De Bosio] A Verona si occupa di teatro a casa propria con un gruppo di amici mette in scena racconti gialli; lo attirava il “gioco del teatro”. A scuola propose a un preside che non era molto d’accordo ma che poi accettò, di fare una lettura settimanale al microfono di testi teatrali, una storia del teatro cominciando dai greci, poi i latini, poi Feo Belcari, tutti gli autori di studio. All’università a Padova, a Lettere, ebbe Concetto Marchesi, come professore di latino, […] di greco, Diego Valeri di francese, con cui poi si laureò in Letteratura francese. Guidato da Marchesi con lezioni latine “antifasciste”: Tacito… tutti gli autori interpretati in modo da far sentire un’avversione alla dittatura. Partecipò anche al teatro GUF come suggeritore, da matricola. Dopo un anno e mezzo di vita partigiana, quasi due anni, uscito dalla guerra partigiana con un alto grado “tenente-colonnello”, si ritrovò con il Rettore Egidio Meneghetti, del Partito d’Azione, che lo aveva instradato nel movimento partigiano e lo aveva mandato a Verona – dopo due CLN finiti nei campi di sterminio – a fare un CLN tutto di persone non veronesi, l’unico veronese era lui, ma oramai con documenti falsi, si chiamava un po’ Venosta, un po’ Quadro; De Bosio finito, la sua abitazione era occupata dalle SS, girava clandestinamente camuffando il suo aspetto… Si sentiva più Rosario Chiarchiaro, il personaggio de La patente di Pirandello, ma si vede che ai fascisti faceva paura, perché non lo hanno mai fermato. Esperienza notevole. |
00:43:21 Il dopoguerra e le prime regie universitarie |
Grazie al rettore, Diego Valeri, professore con si sarebbe laureato sull’Etourdi di Molière (rapporti tra Commedia dell’Arte e Molière), ebbe la possibilità di dirigere il Teatro dell’Università: si sentiva in difficoltà, però, anche se fecero subito le Coefore (di Eschilo) nella traduzione di (Manara) Valgimigli; Strindberg, sconosciuto nel ’46, Il pellicano, un testo a 4 personaggi, quindi poteva farlo con i suoi [Crivellaro]: poco dopo ha pubblicato il volumone Lucio Ridenti], volumi editi da Paolo Grassi: venne a Padova, prima che nascesse il Piccolo Teatro, da lì in poi divenne amico e protettore (i Ruzante padovani portati a Milano, già negli anni ’50) |
00:45:13 00:46:47 L’anno di studi a Parigi; Jacques Lecoq, il ritorno padovano e l’avvio del teatro ruzantiano |
Parigi. Voleva fare un anno di scuola, perché si sentiva con una responsabilità più grande della sua esperienza. Alla scuola di Barrault per un anno; conobbe Marcel Marceau, che divenne un suo grande amico e Jacques Lecoq, che riuscì a convincere a venire a Padova e per tre anni stette con lui. Alla ripresa dell’attività teatrale padovana, Lecoq iniziò il lavoro del mimo italiano, con la pantomima Porto di mare; De Bosio, invece, con I pettegolezzi delle donne di Goldoni, poi parecchi altri autori, tra cui Garcia Llorca. Il 30 novembre 1950, finalmente, la Moscheta di Ruzante. Questo in risposta alla provocazione. |
00:46:47 00:51:03 La fine del Teatro Università di Padova |
Dopo il successo Ruzante, provocò molte polemiche: il vescovado li considerò come eretici, portarono in scena Brecht. I primi in Italia a rappresentare Brecht nel 1951 con L’eccezione e la regola; poi una selezione delle canzoni di Kurt Weil, da L’opera da tre soldi; poi Terrore e miseria del Terzo Reich, due episodi, tra cui La moglie ebrea; poi per la prima volta in Italia Un uomo è un uomo – e Grassi li invitò subito a Milano – forte reazione anticomunista da parte del sindaco di Padova e a causa della nuova direzione del Teatro padovano (Marchesi era deputato a Roma, Valeri era andato in pensione, Valgimigli anche) De Bosio si trovò isolato e, in accordo Università e Comune, tolsero ogni fondo. La Presidenza del Consiglio mandò Franz De Biase, un dirigente, a Padova a chiedere di mantenere il teatro, malgrado questo fu chiuso; e De Bosio dovette pagare personalmente tutti i debiti. Gesto “schifoso” nei suoi confronti; ci ha messo vari anni per saldarli. |
00:51:03 00:54:06 Roma, Trieste La Moscheta bandita dalla Chiesa |
Diego Fabbri: formarono una compagnia insieme; con Squarzina fece L’ammutinamento del Caine e De Bosio Il sacro esperimento di Fritz Hochwalder, esperienza comunista dei padri gesuiti in America Latina (Paraguay). Poi Trieste: molto lavoro, per cui poté pagare i debiti. Grassi (quando fondò il Teatro Stabile di Venezia per alcuni anni, solo due, perché i veneziani non lo vollero) chiamò a Ferrara De Bosio per una edizione Moscheta con Cesco Baseggio, Battistella, la Vazzoler e Giulio Bosetti, si svegliarono al mattino con i manifesti in città che sospendevano ad divinis (dai sacramenti) gli spettatori che sarebbero andati a vedere lo spettacolo: non ebbe seguito ovviamente perché (nel Cortile del Palazzo dei Diamanti), poi all’Isola di San Giorgio (esaurita) a Venezia. La fortuna per il Patriarca volle che la sera piovve a dirotto. |
00:54:06 00:57:00 Torino Digressione sul retroterra religioso e politico della famiglia De Bosio |
1955 Liolà di Pirandello esordio torinese. Politica, partiti; Lucio Ridenti diffidava del Teatro pubblico perché finanziato. De Bosio di famiglia cattolica originario di Verona. Autonomia di pensiero politico. La famiglia è arrivata relativamente tardi a una dichiarazione ufficiale cattolica; il padre era piuttosto “laicizzante”; la madre, anche, fino agli anni Trenta, poi ebbe un momento di conversione legato alla conoscenza di alcuni personaggi importanti del mondo gesuitico di Padova (Padre [Carlo] Messori Roncaglia, ex marcia su Roma, poi convertito; uomo molto coraggioso; durante la guerra volontario cappellano nei sommergibili e fece crociere di quaranta giorni). La madre portò anche il padre verso un interesse per la religione cattolica. |
00:57:00 01:03:33 Orientamento politico-religioso-filosofico di De Bosio |
De Bosio era “misto”: come studente impressionato da Dino Formaggio, notevole filosofo, professore, allievo di Banfi a Milano, che lo spinse verso Spinoza, concezione panteistica del personaggio divino; aveva uno zio a Verona, Dean (?), antifascista convinto. Laico. Non poteva insegnare fino alla Liberazione. Ezio Franceschini, che diventerà Rettore dell’Università Cattolica di Milano, era il prediletto di Concetto Marchesi, professore di Latino medievale (Marchesi di Latino classico). Franceschini fece molto durante la Resistenza per De Bosio: salvò molti ebrei che De Bosio mandò a Milano. Egidio Meneghetti, Partito d’Azione, quando il CLN di Verona fu arrestato e spedito nei campi (per ben due volte): chiese a De Bosio di andare a Verona e lì di rappresentare la DC perché nessuno voleva occuparsene. Missione militare badogliana che lavorava contro il CLN, perché era considerato filocomunista dal Governo Badoglio. Perrucci (professore cattolico) comandava la missione a Verona, appoggiato dalla Curia, mise i bastoni tra le ruote. De Bosio era scelto dal regionale veneto del CLN, come rappresentante della DC. Non ebbe molta fortuna nell’ambiente ecclesiastico, perché aiutavano piuttosto Perrucci; quindi DB lavorò molto di più con i comunisti, e con a Idelmo Mercandino, comunista doc (guerra di Spagna, Russia, formato a Mosca, dopo la Spagna, e poi mandato a Verona (perché era il centro di Mussolini, delle S.S., anche Brescia). DB arrivò fino al 25 aprile gestendo a turno la Presidenza del CLN, pur giovanissimo. Quando arrivarono gli alleati, il Presidente era un rappresentante del Partito d’Azione. Dopo la Liberazione stette ancora due mesi, poi diede le dimissioni e andò a Padova a iniziare la sua attività teatrale, sempre con Meneghetti che era responsabile della sua nomina democristiana. |
01:03:33 01:06:00 L’amicizia con Giulio Andreotti |
Giulio Andreotti: DB lo conobbe. “Il vento del Nord” lo nominò, come democristiano, rappresentante del Nord e si recò a Roma a incontrarlo perché Andreotti era il rappresentante del Vaticano, di Roma e del Centro-Sud. Ci furono le elezioni: il 65% andò ad Andreotti e a DB il 35%. Andreotti ebbe molta simpatia per DB. Da allora lo ha sempre aiutato: alla Presidenza del Consiglio, almeno fino a Torino (anche quando ebbe problemi con Trabucco, “Il Popolo nuovo”, coi giornali), anche per gli attacchi a Padova per Brecht, lo difese sempre in Parlamento. |
01:06:00 01:10:00 Il padre |
L’attività di DB come partigiano – dopo essere stato per 13 mesi nascosto in un convento di Bassano del Grappa; perché era stato arrestato dalle S.S., poi scappato; poi mandato a Verona sotto mentite spoglie (“Quadro”, “Venosta”, con varie tessere di paesi già occupati dagli alleati) – diede al padre la possibilità di essere eletto come Senatore della Bassa Veronese. Ma non fece mai nulla per aiutare il figlio, salvo prestargli un po’ di soldi. Ottimi rapporti tra loro, nonostante le polemiche a cui era soggetto come regista. Continuava a sognare che prima o poi avrebbe lasciato il teatro per l’avvocatura (lo iscriveva ogni anno a Legge). Quando DB giunse a Torino, il padre era ancora Senatore (per due legislature, poi divenne deputato europeo): non aveva una cultura cattolica, ma laica. Si occupò molto di leggi sanitarie: fu tra i fondatori del Ministero della Sanità anni Cinquanta). Molto affetto per il figlio, ma non ingerì nelle sue attività. |
01:10:00 01:15:48 Le tappe delle polemiche suscitate a Torino dall’attività di De Bosio |
Liolà non è stato particolarmente al centro delle polemiche. Don Franco Peradotto era nella Commissione di lettura del TST: in un primo tempo la Commissione era voluta da De Bosio. Dal 1964 in poi, con l’arrivo di Messina – dopo il successo del Ruzante, che aveva provocato reazioni violente (ci furono 130 abbonati che restituirono la tessera per protesta) – c’è stato il tentativo di farne un luogo di opposizione interna a DB (Messina era legato a Trabucco del “Popolo nuovo”, in particolare in occasione dei lavori tratti da Brecht, Ruzante, e da Sartre stesso). L’assessore Tettamanzi, invece, lo difendeva. Oltretutto Sartre diede il permesso di fare le Mani sporche dopo averne tolto la possibilità, perché veniva usato in senso anticomunista: venne a Roma e volle vedere Il terrorista e allora si convinse. Santuccio fu un ottimo interprete del terrorista con Giulio Bosetti, non ne faceva un sanguinario violento, ma un uomo perplesso. “l’Unità”, il PCI accolse Le mani sporche (1964) con favore per via dell’approvazione di Sartre e del modo con cui Santuccio e Bosetti hanno interpretato i due personaggi: poi c’era Carlo Bagno, che faceva il comunista ed era simpatico. DB lo scelse perché gli ricordava i personaggi popolari della Resistenza comunisti, non erano degli ideologi, erano persone che volevano il sogno del comunismo. |
01:15:48 01:18:12 Il comunismo e i fatti di Ungheria |
Punto curioso. Ha conosciuto attraverso sua moglie l’Ungheria. Lì è stato feroce fino al 1956. La rivolta popolare fu una lezione grave per il comunismo e purtroppo il PCI ha preso le parti di Mosca, per ignoranza o per malafede; ignoranza popolare, senz’altro. L’insurrezione anticomunista di Budapest era voluta da molti comunisti. L’epurazione fu sanguinosa. Dopo, Kádár, è stato molto meno duro, più realista. Budapest infatti ha poi aperto tutte le frontiere anche con la DDR. |
01:18:12 01:22:08 L’Arturo Ui, il Berliner e Brecht |
Berliner Ensemble, nel 1960, vide l’Arturo Ui, a studiare il testo: era un po’ clownesco, forse per la censura molto forte della DDR, linea circense che a DB non piacque. Brecht era già morto, ma conobbe la Weiler, una persona terribile, con i paraocchi, grande attrice, faceva Madre coraggio, manteneva un clima di paura dentro il teatro… tant’è vero che vari registi sono scappati nella Germania dell’Ovest. Il Berliner di oggi è un po’ polveroso, ripetitivo. Brecht in realtà era malvisto dall’ufficialità della DDR. Non gli mettevano le mani addosso perché troppo utile. Gli incassi dell’Arturo Ui venivano mandati in Svezia: i suoi fondi stavano fuori dalla DDR. Gliene trattenevano l’80%. È morto presto, in certo senso, meglio così, per lui. |
01:22:08 Gli attori e l’inizio della collaborazione con Luzzati e la “Compagnia dei Quattro” |
Torino. Compagnia degli attori. Da Franco Parenti a Giulio Bosetti. Non ha mai impostato un discorso politico all’interno della compagnia. Più sull’ideologia dell’autore. Ruzante prima di tutto: il suo autore, la sua scoperta. Per esempio con Parenti lavorara con più difficoltà che con Bosetti. Parenti ambiva anche a concezioni registiche, quindi era più facile lo scontro o la divergenza. Glauco Mauri, altro attore di rilievo, e la Moriconi, nel periodo Enriquez – non ancora nominato. In realtà quel periodo nasce dall’amicizia che DB aveva con Lele Luzzati, che era della “Compagnia dei Quattro”, principale scenografo degli anni Sessanta, dopo la difficoltà con Scandella (che dagli inizi di Padova è stato il suo scenografo preferito; poi un po’ per stanchezza reciproca, un po’ perché non stava bene, beveva molto, aveva problemi etilici, infatti è morto di cirrosi epatica abbastanza giovane) ha iniziato appunto a lavorare con Luzzati, che aveva anche una maggiore creatività. Cominciarono con Il bugiardo, grande successo: due repliche al giorno; la matinée con Salines e la soirée con Bosetti. Luzzati propose di portare la Compagnia a Torino. Fu un’esperienza positiva: con Franco (Enriquez) i rapporti furono molto cordiali; la Moriconi, molto “prima attrice”, non difficile, riuscì pure a farle fare Ruzante, dove aveva delle piccole parti, però era l’unica e quindi non c’era rivalità. Adriana Innocenti nell’Anconitana aveva una bellissima parte. Nuti invece partecipò meno a Ruzante, forse mai; fece Se questo è un uomo; nell’ultima fase ebbe delle parti forse in Calderón de la Barca. |
01:29:10 Gli ultimi anni torinesi Digressione su Calderón de la Barca |
La DC si è impadronita della Commissione di lettura. Rottura del 1967. La DC impose almeno un testo cattolico: scelse Calderón de la Barca, la storia dell’incesto; un testo eterodosso al 100% (La devozione della croce): perché era un genio, non era un politico. Come Teatro dell’Università di Padova nel ’48 presentarono La devozione alla messa di Calderón de la Barca nella Chiesa di San Salvatore al Monte di Firenze, in contemporanea con Troilo e Cressida di Luchino Visconti; fu la famosa critica di Silvio D’Amico, in cui diceva che aveva preferito lo spettacolo di DB a quello di Visconti. Gesto un po’ polemico chiaramente, perché con Visconti c’era la “nazionale” del teatro italiano: Ricci, Morelli, Stoppa. Carla BIzzani giovane C’era però con i giovani di Padova Mario Scaccia, che faceva il comico, e Rolf Tasna, come primo attore. Calderón l’ha ripescato in un momento difficile a Torino; ma andò male. C’erano Corrado Pani e Adriana Asti. Incidenti durante le prove. |
01:32:45 Il Riccardo II e Mario Luzi traduttore del verso shakespeariano |
Anche nel Riccardo III ci furono incidenti. Riccardo II lo fece DB come regista; invece subito dopo il TST fece il III con la regia di Ronconi, che esordì così al TST, scene di Ceroli e costumi di Job e Vittorio Gassman nel ruolo di protagonista. Costumi troppo pesanti, fatti di corda e cuoio veri; dovettero rifarli e riprogrammare le repliche dieci giorni dopo al Teatro Alfieri. Il Riccardo II è stato tra gli spettacoli che DB amò di più: la traduzione di Mario Luzi. Rapporto con lui – che diventò poi amicizia – gli fu suggerito da Davico Bonino (che diverrà direttore del TST nel ’95), che era nella Commissione di lettura, perché DB gli disse che voleva uno Shakespeare in versi. Si recò a Firenze per chiedergli la traduzione – Luzi era un francesista – ma accettò. A parere di DB è la più bella traduzione di Shakespeare che sia mai stata fatta, migliore di quelle di Quasimodo, di Montale, “che sono fatte in fretta”, in prosa. Luzi ha inventato un verso così come nell’Ottocento Schiller. DB vorrebbe riprenderlo, ma è difficile trovare una compagnia oggi che affronti Shakespeare seriamente. Lavia (nel ’95-’96) lo ha fatto trent’anni dopo al TST nella traduzione in prosa di Alessandro Serpieri. Quattro mesi prima che morisse Luzi, a Verona, è venuto Glauco Mauri a recitare dei brani del Riccardo II. |
01:39:25 Gian Renzo Morteo |
Molto vicino e tutt’altro che facile, aveva sempre un’opinione personale molto precisa, ma non voleva mai affrontare di petto i problemi, forse anche per questioni di salute. Bisognava sempre un po’ costringerlo a esprimersi. La persona più lucida che DB abbia mai incontrato del TST. Ottimo traduttore dal francese. Grazie a lui è approdato Ionesco allo Stabile di Torino. Anche Beckett, Giorni felici. Molto interessante per la presenza di Laura Adani, che non era un’attrice beckettiana, ma ebbe un grande successo, nemmeno Giulia Lazzarini al Piccolo la eguagliò, piacque anche a Morteo, che pure era molto critico. Anche Morteo amava Ruzante, e lo difendeva. Cosa c’entra Ruzante con il Piemonte? Era un po’ la polemica… siccome De Bosio è veneto, allora infligge ai piemontesi Ruzante e a loro non interessa. |
Teatro Gobetti – Teatro Carignano | I 60 anni del TST. Ospite d’onore di Martone e dello Stabile di Torino di Martone per la Conferenza stampa del 27 maggio. Di Martone ha visto delle cose molto interessanti al Piccolo. Il TST nasce al Teatro Gobetti e DB lavora esclusivamente al Gobetti fino al ’61, anche se il Comune era proprietario del Carignano (che lo aveva dato in gestione ai Chiarella). Chiarella lo convinse con Italia ’61 e si arrese a far entrare il TST. Chiarella era sostenuto da Bernardelli (e Ridenti) che dicevano che che lo Stabile dovesse rimanere al Gobetti, perché un teatro “minore”. La conquista del Carignano è stata importante. Con l’Arturo Ui parte la presenza del TST al Carignano, senza mai dimenticare il Gobetti (perché è più adatto per un certo repertorio). Parentela con la Compagnia Reale Sarda. Il Gobetti fu fondato per Carlotta Marchionni, prima attrice della Compagnia, quando nel 1840, quando – a soli 42 anni – lascia le scene: l’Accademia filodrammatica le costruisce il teatro Gobetti. A memoria, una grossa lapide lo ricorda. |
01:47:50 Confronto tra Crivellaro e De Bosio sul concetto di stabilità dei teatri |
Anche a Milano, prima il Piccolo, poi il Grande Strehler e poi adesso il terzo teatro; solo che il disastro nazionale è che non c’è una compagnia stabile, quindi è un trucco questo Teatro Stabile. È stabile solo dal punto di vista dell’organizzazione, degli impiegati, anche la gestione. È più alla Remigio Paone che alla Paolo Grassi, è più impresariale la gestione. Senza una compagnia stabile, con i ruoli – c’è stato un po’ al Piccolo e un po’ a Genova con Squarzina. Manca proprio il principio della stabilità. DB insegna da 15 anni, alla scuola del Piccolo: ogni tre anni sfornano almeno una quindicina di buoni attori. Sono due classi di 14: tutti dispersi. Se stessero a Milano, ci sarebbe una compagnia stabile. Non c’è nemmeno la volontà: ci arrivano dappertutto (Germania, Austria, Ungheria, a Insbruck; cittadine…) qui non si riesce. A Genova, a Torino, un po’ di più, ma non abbastanza. Gli stessi politici sono più contenti di una gestione stabile, perché più semplice. [Crivellaro]: non sono i politici, ma i teatranti stessi, per non legarsi troppo le mani: molto meglio pescare da una orsa di attori “aperta”. DB: ma questo è il contrario del TS. Allora meglio fare le compagnie di giro. Le quali, negli anni Cinquanta, avevano da 6 a 10 testi in repertorio, tirati un po’ via, però ogni tre quattro giorni cambiavano spettacolo… Una compagnia fisse non può essere di venti persone, deve essere almeno di quaranta, cinquanta elementi, una Comédie française in piccolo. Crivellaro: i tentativi al TST avvengono nel ’68 con la “Compagnia Gruppo” e nel ’76 con il primo Missiroli, altra “Compagnia Gruppo” (poi ritentato da Walter Le Moli). Momenti di transizione, quasi marginali, attori e attrici con un’identità modesta, che tuttavia rivendicano il diritto di essere gli attori delle produzioni di quel teatro. Ma il teatro non ci crede e preferisce pescare su nomi molto più allettanti.[DB]: questo discorso però porta al teatro impresariale, di giro.[Crivellaro]: la nuova riforma del teatro nazionale aspira ad andare in questa direzione, cioè della stanzialità con una compagnia stabile, ma il teatro pubblico italiano deve educarsi a questo obiettivo.[DB]: sono passati ormai più di 70 anni dal ’47 e non è successo niente. Anche Strehler non è che amasse molto l’idea di stabilità, Grassi di più. Strehler aveva sì i suoi attori (Carraro, Giulia Lazzarini, una decina di attori), però considerava la stabilità restrittiva. DB per esempio ha fatto alcuni spettacoli in Ungheria, al Teatro Nazionale – a parte che hanno tre sale anche loro – ma hanno una compagnia sugli 80 attori. Ma se li si fa lavorare bene, lavorano tutti i giorni, con tre sale. Come a Milano: il Piccolo di via Rovello, lo Strehler e il Teatro Studio, si potrebbero avere grandi spettacoli con 20-30 attori. Almeno 50 attori fissi, e invece… DB teme che morirà senza questa soddisfazione. |
01:56:56 Ultimo spettacolo di DB Prossimo spettacolo di DB Saluti |
20 marzo 2015 Maria Stuarda di Donizetti in Slovacchia, in una delle tre città principali, Banská Bystrica (Banská = miniera); tre Teatri Nazionali, a Bratislava: scenografo e costumista venivano da lì; anche l’assistente di DB veniva da lì, una sua ex allieva di Verona, dove al Conservatorio c’è una sezione di teatro d’opera che rilascia diplomi annuali, dove DB insegna. Grande successo, dieci minuti di applausi. Con il Nabucco inaugurerà la prossima stagione dell’Arena di Verona, una sua regia del ’91. Poi due spettacoli di Zeffirelli e uno di Deana, che lavora con la sorella dell’attrice Giuliana Lojodice (che lavorava con Aroldo Tieri). |
Commedia piemontese di Carlo Giambattista Tana, a cura di Guido Davico Bonino e Gualtiero Rizzi. Regia di Gianfranco De Bosio e Gualtiero Rizzi. Teatro Carignano, 25 maggio 1966. Lo spettacolo viene ripreso nella stagione 1966/67 per una breve tournée estiva in decentramento e un ciclo di recite in sede. Dopo un’anteprima al Teatro Civico di Vercelli (17 aprile 1967), lo spettacolo inaugura il 5° Festival mondial du théatre universitaire di Nancy (Grand Théatre, 20 aprile). Viene poi ospitato al Teatro Olimpico di Vicenza (22 aprile) e al Teatro La Perla del Casinò di Venezia Lido (25 aprile). Rientra infine a Torino per un ciclo di repliche in sede (Teatro Gobetti, 28 aprile). Viene riallestito a inizio stagione 1969/70 per una breve tournée in Belgio: Liegi, Théatre de l’Opéra, 21 settembre 1969 (Festival Monteverdi); Bruxelles, Théatre du Palais des Beaux-Arts, 23 settembre 1969 (Rassegna Europalia).
«MENATO Putana mo’ del vivere, mo’ a’ son pur desgraziò. A’ crezo ch’a’ foesse inzenderò quando Satanasso se petenava la coa. A dir ch’a’ n’abi mè arposso né quieto, pí tromento, pí rabiore, pí rosegore, pí cancari ch’aesse mè cristian del roesso mondo [… ]»
Versione drammatica di Pieralberto Marché e Primo Levi. Regia di Gianfranco De Bosio, Giovanna Bruno e Marta Egri. Scene e costumi di Gianni Polidori. Teatro Carignano, 18 novembre 1966. Allestito per la 2“ Rassegna Internazionale dei Teatri Stabili di Firenze; in seguito alla catastrofica alluvione che colpì la provincia di Firenze nei primi giorni del novembre 1966, le recite previste dal 12 al 15 novembre al Teatro Metastasio di Prato, a conclusione della rassegna, vennero annullate; la recita del 18 novembre al Teatro Carignano avvenne ufficialmente a titolo di recupero, presenti le autorità di Firenze e di Torino. Allo spettacolo viene assegnato il premio IDI St. Vincent 1967 come miglior novità italiana della stagione.
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Relation:Intervista a De Bosio Gianfranco, di Crivellaro Pietro e Iracà Silvia, Roma, il 14/04/2015, Progetto “Banca della Memoria teatrale”, Collezione Ormete (ORMT-01d) consultata in URL:<https://patrimoniorale.ormete.net/intervista-a-de-bosio-gianfranco/>, (data di accesso).